A pensarci bene, tra abbonamenti a piattaforme varie di pay tv, shopping e spesa online, delivery, lezioni virtuali di sport e di lingue, eravamo già ben attrezzati per una pandemia da lockdown.
L’armamentario per stare in casa lo avevamo. Eravamo organizzati, attrezzati, pronti.
Ma…
Ma impreparati.
A fermarci e a vivere il tempo.
Quello vero. Quello che batte un secondo dopo l’altro, che si fa minuto e poi ore, con il suo naturale scadere. Quello di cui avevamo perso cognizione. E che ci scorreva tra le mani senza custodirlo.
Il tempo era diventato quello che ci vuole per arrivare la mattina a lavoro. Quello che rubo per fare una pipì tra una riunione ed un’altra. Quello che ritaglio per fare quella telefonata. Quello che riuscirò “a trovare per prendere un caffè in pace”? Quello che recupero per non perdere l’ora di allenamento in palestra. Quello che mi serve per lavarmi i capelli, e magari togliermi pure le pellicine alle unghie. Quello che mi fotte il pensionato nella Panda davanti a me…
Lo stesso tempo con cui ci costringeva a fare i conti quel parente anziano quando lo andavamo a trovare. Seduti accanto alla sua poltrona, dove è appollaiato dal momento in cui noi siamo usciti di casa trafelati per andare al lavoro, percepiamo quel suo tempo come lento, lentissimo. Un tempo fermo. E, lui, il canuto, ai nostri occhi sembra avere il tempo dilatato. Non ha fretta, soprattutto non ha bisogno di incastonare il lavoro tra gli affetti e gli svaghi. Il suo tempo è tutto suo. Ci parla con calma, e, noi, lì al suo fianco, ci sentiamo come relegati, se non legati, alla sedia. Inchiodati. Bloccati da un freno a mano nei nostri ritmi. “Vitali” li chiamavamo, perché dicevamo che ci facevano “sentire vivi”…
E invece, ora, vivi dobbiamo riuscire a sentirci anche facendo i conti con il tempo diverso con cui siamo costretti a convivere in quarantena. Un tempo che diremmo nuovo. Che non ci appartiene e che sentiamo di subire. Lo vorremmo dominare per non sentirlo scorrere, scappando dalla sua lentezza… ma siamo obbligati a pagargli il conto perché è diventato il nostro tempo, quello che, inascoltato, ci batteva dentro spontaneamente. Quello con il quale dovremmo imparare di nuovo a metterci in armonia…
E chissà che, alla fine di tutto, non ci riusciremo… recuperando una parte di noi.